Siamo in una città anonima, quasi ferma nel tempo. Il protagonista non ha nome e non ha amici. Se escludiamo il tempo trascorso al lavoro, non parla con nessuno. Vive in un enorme quartiere dormitorio, ai margini di un bosco che lo separa dalla città. È sempre circondato dalle persone ma la sua quotidianità è fatta di una solitudine che lo ha inghiottito.
Una mattina, sul sentiero che percorre ogni giorno, trova una pistola smontata. Prende tutti gli elementi e la assembla. Inizia a portarla sempre con sé. L’arma gli dà sicurezza, lo fa sentire parte di qualcosa, sembra restituirgli un’identità. Ma poi finisce per trasformarsi in un’ossessione e lui ne diventa dipendente.
Lo stile che Giuseppe Cristiano ha adottato per il graphic novel Gun è nervoso, a volte quasi scarabocchiato, tutto in bianco nero. Rispecchia le sensazioni, le ansie del protagonista.
L’autore ragiona sul destino. Siamo noi che controlliamo gli eventi, o quello che accade è il risultato di una decisione altrui? Quanto il comportamento di un estraneo può innescare una serie di azioni che erano già lì, sopite e pronte solo ad esplodere?
Cristiano mette insieme una storia breve, rumorosa, assordante pur nell’assenza delle parole. Guarda alla circolarità degli eventi e alla relazione di causa-effetto. Disegna un’alienazione che fotografa la realtà, senza enfatizzarla, ma tanto comune da non poter essere ignorata.
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